Nella giornata in cui ricorre il 422° anno dalla morte per rogo, a Campo de’ Fiori di Roma, il filosofo e libero pensatore Giordano Bruno, pubblichiamo una relazione che Gioele Magaldi, Presidente del Movimento Roosevelt e Gran Maestro Massone facente parte del network progressista Grande Oriente Democratico, presentò anni fa al Convegno del GOI: “Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero”
“Il tema del convegno è perentorio, non ammette punti interrogativi o forse, più saggiamente, li lascia alla discrezione dei relatori… Senza abusare di tale libertà e auspicando di fare cosa utile (magari riconquistando alla fine ciò che è stato messo in discussione all’inizio) vorrei dunque invitare a questi lavori un personaggio di provata onestà e schiettezza: sua eccellenza il “dubbio”. E vorrei fargli assumere i panni vetusti ancorché fascinosi di quel tal filosofo di nome Socrate, il quale aveva una pessima abitudine… Sì, poiché l’ateniese, posto davanti ad una frase, un discorso, un concetto che il suo interlocutore ostentava come cosa ovvia, domandava sempre: Ti estì (Che cos’è? Che intendi dire?).
Fuor di metafora: siamo proprio sicuri che Giordano Bruno, bruciato vivo quattrocento anni or sono, abbia voluto essere e sia stato “uomo universale” e “martire del libero pensiero”? E ancora: quando è nata quest’idea, questo giudizio così solenne e impegnativo per un uomo che si autodefiniva “…esule, fuggiasco, zimbello di fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall’odio della folla…”[1]. E per finire: nata e affermatasi l’affascinante visione di un uomo morto a difesa della libertà di “pensare” e “conoscere” da parte dei suoi simili, si ha memoria di taluno che abbia osato revocare in dubbio un così edificante ritratto del filosofo nolano? Rispondere a questi interrogativi appare a chi scrive di vitale importanza.
La domanda più semplice è quella che dice “quando?“ Ebbene la risposta più ragionevole e scontata intonerebbe così: Il 9 giugno 1889 veniva inaugurato a Roma, in Campo dei Fiori, il monumento a Giordano Bruno, il quale veniva acclamato martire del libero pensiero e della libertà di coscienza. Quest’atto ufficiale sanzionava una mobilitazione di idee, progetti, iniziative degli anni precedenti, a partire dalla proposta commemorativa di Alfredo Comandini nel 1876. Nel 1880 era stata fondata in Italia l’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano Bruno”.
Nel 1885 veniva istituito, sempre in Italia, un Comitato promotore del monumento da erigere a Campo dei Fiori…E ancora nel 1885, questo stesso comitato metteva in circolazione un volume (“numero unico a benefizio del fondo per il monumento”) che raccoglieva importanti adesioni e interventi a favore dell’iniziativa, da parte di illustri firme del mondo intellettuale nazionale e internazionale. E non solo. Da qui al 1889 sarà tutto un rigoglioso fiorire di opuscoli e libelli di varia origine e provenienza…
Intorno all’imminente omaggio da offrire al filosofo italiano si era mobilitato un complesso coacervo di posizioni politiche, civili e culturali, su cui, comunque, fra tutte spiccava una presenza: quella massonica.
La Massoneria italiana, sotto la gran maestranza di Adriano Lemmi, insediato per l’appunto nel 1885, seppe dare la forza propulsiva necessaria al buon esito del progetto. Un progetto su cui Lemmi riuscì a convogliare ed aggregare personalità distanti se non pure ostili tra loro. Ma tutto questo è storia, comprese le “prudenze” e i tatticismi che impedirono la presenza ufficiale del governo e del “fratello” Francesco Crispi – che quel governo presiedeva – il giorno dell’inaugurazione del monumento. E ciò, nonostante la decisione parlamentare che la Camera dei deputati fosse rappresentata ufficialmente il 9 giugno a Campo de’ Fiori.
Chi legga spassionatamente quegli eventi, vedrà chiaramente come la figura del grande pensatore e l’idea della sua celebrazione fossero intimamente legati, per fautori e detrattori, al dibattito civile e politico contemporaneo. Negli stessi anni, il mondo degli storici e dei filosofi vede uno sviluppo determinante degli studi bruniani.
Dalla edizione tedesca paradiplomatica dei Dialoghi Italiani e del Candelaio, curata dal Lagarde nel 1889, all’edizione nazionale italiana delle opere latine, tra il 1879 e il 1891, curata da Fiorentino, Tocco, Vitelli, Imbriani e Tallarigo; dalle monografie di Levi, Berti, Tocco e Fiorentino ai saggi di Giovanni Gentile – curatore, peraltro, della prima edizione nazionale dei Dialoghi Italiani – è tutto un operoso variare, virtuoso ma solidale, su una tesi precisa. Una tesi che aveva visto come iniziatore Bertrando Spaventa, negli anni Sessanta dell’Ottocento: Giordano Bruno è un eroe del pensiero, un Prometeo della filosofia della libertà…
Spaventa e i suoi epigoni, dichiarati o dissimulati, fino a Gentile, investigheranno variamente il pensiero e le opere dell’illustre nolano; tutti, in un modo o nell’altro, al termine della loro sintesi intoneranno il medesimo peana: ecco il moderno profeta della nuova scienza, il precursore della filosofia moderna, il martire del libero pensiero. L’interpretazione della società civile, massoneria in testa, e l’interpretazione storico-filosofica convergevano quindi, negli stessi anni decisivi su una precisa e scultorea immagine. Semplice coincidenza? Non sembra…
Il Giordano Bruno del Grande Oriente d’Italia, delle società radicali, positiviste e razionaliste, delle associazioni studentesche, dei comitati repubblicani e socialisti, di Giovanni Bovio, il quale dichiarò che il 9 Giugno, a Roma, era stata incisa “per consenso di genti libere, la data della religione del pensiero”; questo Bruno, dicevo, era pressoché indistinguibile dall’altro, il Bruno degli “addetti ai lavori”, degli accademici insomma. Ed era indistinguibile poiché, in entrambi i casi, il fine era simile.
Da un lato occorreva un simbolo, un’icona, un’immagine potente che coagulasse intorno a sé le aspettative, le ansie, le ambizioni e le paure di certa società laica – stretta tra le ambiguità e i conservatorismi della Corte e del governo (financo dei massoni “governativi”) e il pericolo sempre temuto di una revanche clericale, magari all’ombra di nuovi accordi tra trono e altare – dall’altra parte l’obiettivo era nientemeno che la nobilitazione filosofica e scientifica della giovanissima nazione italiana.
La filosofia italiana, l’aveva ben detto per primo Bertrando Spaventa, aveva anticipato gli sviluppi della filosofia europea tutta. Di qui, dall’Italia, erano venute le primizie che avrebbero poi invaso il “mercato della modernità” e quindi ecco Telesio e Campanella precursori di Bacone e Locke; Campanella precursore anche di Cartesio; e Bruno, anticipatore di Spinoza e Leibniz, sacerdote della libertà filosofica, che, sola, avrebbe consentito il progressivo dispiegarsi della Ragione, della Civiltà e della Scienza moderna.
Finalmente il quadro è ben designato: gli uni e gli altri, gli studiosi e gli ammiratori, studenti e professori, politici e scrittori, artisti, commercianti e professionisti hanno trovato un vessillo che li accomuna; e ciò all’interno di una nazione appena nata che, oltre a santi e navigatori, ha bisogno anche di filosofi e martiri. I governanti osservano plaudenti l’operazione accademica, benigni ma prudenti quella massonica, preoccupati, ma non troppo, quella repubblicana, socialista e radicale, talvolta utile spauracchio per ammorbidire l’intransigenza pontificia.
Dopo tre secoli di vita fertile ma sotterranea, di trafelati commenti negli Epistolari dei “dotti” e plagi inconfessati nelle loro opere, Bruno rientrava nell’ufficialità dalla porta principale, magari sovraccarico di addobbi e lustrini. Il mito è nato.[..]. “
Fine Prima Parte
[1] Cfr.‘Oratio valedictoria’in Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R. Amerio, pp. 687-688.
Articolo della Redazione del Blog Movimento Roosevelt Lazio
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