PNRR e proteste: davvero ci sarà coesione sociale?

In questi giorni si sta discutendo la prossima manovra economica, che organizzerà l’utilizzo dei fondi che vengono dall’Europa, col Recovery Fund, nel programma presentato dal Governo Draghi con il PNRR. In questo momento, si sta parlando di risorse, di dove indirizzarle e di quali saranno i tornaconti di questi investimenti. Soprattutto perchè, parte abbondante di questi miliardi, non sono affatto regalati, ma dovranno essere rimborsati con gli interessi e, soprattutto, facendo le famose riforme che l’Europa non ha mai smesso di chiederci.

La parentisi biennale della pandemia, che ancora non sembra terminata, ha solo rimandato questo aspetto, ma solo perchè si è affrontato un mal comune che ha messo in difficoltà anche i Paesi europei del nord con i sempiterni conti a posto, la maggior capacità di esportazione e di attirare investimenti esteri. Tuttavia, quando si chiedono soldi non ad un ente di appartenenza degli Stati, ma ad un Ente burocratico e ibrido, tenuto insieme da trattati internazionali e non da una Costituzione democraticamente votata dal popolo, ci si deve aspettare che questi non siano regalati.

L’Unione Europea, lungi dall’essere una Federazione di Stati, ci ha fatto capire in questi anni che nulla era gratis e che nonostante ciò che investiva L’Italia nei vari fondi europei fosse maggiore di ciò che ci veniva restituito, un surplus doveva sempre ottenerlo.

E la ricetta è sempre stata la stessa: tagli al welfare state, cioè ai servizi sociali, tagli alle pensioni e agli stipendi, flessibilità sul lavoro, privatizzazioni e licenziamenti più facili. Praticamente, l’ingiustizia sociale, per far parte di questo club esclusivo, che prometteva di tenere sotto controllo l’inflazione, tanto cara a chi fa movimenti di Borsa e vive di rendite finanziarie. In cambio, si è resa la vita infernale a chi, invece, viveva del proprio lavoro e del servizio alle persone. Eppure, ancora oggi, sono in pochi ad ammettere tutto questo, in pubblico.

Manifestazione USB del 4 Dicembre 2021 – Roma

Proprio in un periodo storico in cui la BCE a guida Lagarde ha tenuto sotto controllo gli spread comprando titoli di stato senza limiti, con tassi di interessi bassi, se non negativi, la genialata del governo Conte e poi di quello di Draghi, è stato andare a fare un accordo con la Commissione Europea, per la distribuzione di 223,91 miliardi, di cui dovremo restituire e ripagare gli interessi, almeno per una parte cospicua.

Il PNRR descrive le priorità di investimento dal 2021 al 2026 e ha l’obiettivo di rilanciare la struttura economico-sociale del Paese, puntando soprattutto sulla digitalizzazione, sulla transizione ecologica e l’inclusione sociale.
Stando alle stime contenute nel Piano si prevederebbe un aumento del PIL di 3.6 punti percentuali e l’aumento dell’occupazione di 3.2 punti percentuali. Nel complesso, il 27% delle risorse è dedicato alla digitalizzazione, il 40% al contrato al cambiamento climatico e il 10% alla coesione sociale.

Dipende, però, cosa si intenda per coesione sociale: nel PNRR è quella parte da investire nelle infrastrutture sociali, per rafforzare le politiche attive del lavoro, sostenere l’alternanza scuola-lavoro e l’imprenditoria femminile, con particolare attenzione alla protezione di individui fragili, famiglie e genitori.

Ma è quello che succede effettivamente? Se fosse davvero così, come mai dei settori facenti parte di questo ambito, scendono sempre più frequentemente in campo con manifestazioni e scioperi?

Tra questi, il 4 dicembre 2021, la USB, con altre associazioni come Adl Cobas, Clap, Cobas Confederazione, Cobas Sardegna, Cub, Fuori Mercato, Orsa, Sgb, Sial Cobas, Unicobas e Usi-Cit e altri, hanno organizzato manifestazioni in 26 città italiane, tra cui, chiaramente, Roma.

Manifestazione “No Draghi Day” 4 dicembre 2021 – Roma

Partendo da Piazza della Repubblica e arrivando fino a Piazza Venezia, utti insieme, hanno manifestato per il “No Draghi Day”, dichiarando “una giornata di protesta nazionale contro un governo che fin dalla nascita ha avuto una sola linea politica: l’aumento delle disuguaglianze, con l’attacco ai lavoratori e ai settori sociali più deboli del Paese e la difesa a spada tratta delle grandi imprese e delle rendite finanziarie. Una linea confermata dalla Legge di Bilancio che, così come il PNRR, concentra le risorse sulle grandi imprese ignorando l’urgenza di una redistribuzione del reddito che riduca le disuguaglianze. Nulla contro il caro vita, i salari restano bloccati, confermato l’attacco al reddito di cittadinanza e ai pensionati al minimo. Non bastasse, restano nel dimenticatoio la sanità, la scuola e il trasporto pubblico, e anzi si riaffaccia il progetto di autonomia differenziata destinato ad aggravare e approfondire il divario territoriale e sociale. Sullo sfondo, uno sblocco dei licenziamenti ormai operativo e il disinteresse totale verso il dramma della questione abitativa e degli sfratti.”

Manifestazione del 4 dicembre 2021. Striscione contro gli sfratti – Roma

Questi, i punti richiesti:
-No ai licenziamenti e alle privatizzazioni
-Lotta per il salario e il reddito garantiti
-Cancellazione della Legge Fornero
-Contrasto al carovita e ai diktat dell’Unione Europea
Rinnovi contrattuali e lotta alla precarietà per la piena occupazione
-Forti investimenti per scuola, sanità, trasporti, previdenza pubblica e casa, contro le spese militari e le missioni all’estero, a favore di una necessaria spesa sociale
-Per un fisco equo che aggredisca le rendite e riduca le disuguaglianze sociali.

La USB si impegna affinchè il PNRR non diventi la “mangiatoia” della Confindustria a carico dei lavoratori, perchè parte dei fondi dovranno essere restituiti e, negli anni, è proprio questo comparto che ne ha pagato un grosso prezzo.
Per quanto riguarda la scuola, in protesta anch’essa con gli studenti, ci si batte contro l’alternanza scuola-lavoro, in un’ottica per la quale si debba andare a scuola per crescere come cittadini consapevoli dei loro diritti e non come manovalanza da sfruttare gratuitamente e a cui far apprendere logiche già prestabilite. A quanto sembra, nel comparto scuola, la pioggia di soldi è stata usata più per la digitalizzazione e nulla per le mancanze infrastrutturali.

Striscione CUB – Manifestazione 4 dicembre 2021 – Roma
Striscione degli studenti – Manifestazione del 4 dicembre 2021- Roma

Questo, per quanto riguarda il sindacato di base e conflittuale. Ma non è l’unico: non passano che pochi giorni, che il governo riesce a dividere ed inimicarsi due dei sindacati maggioritari del Paese: CGIL e UIL, che decidono di scioperare domani 16 Dicembre 2021, mentre la CISL resta ancorata alle ragioni governative.

Secondo Maurizio Landini, il governo dovrebbe spostare gli 8 miliardi di euro di riduzione delle tasse a lavoratori e pensionati, aumentare il netto in busta paga dei salari e pensioni più basse (20-30 mila euro), che vanno comunque riformate, e cancellare la precarietà e introdurre un nuovo contratto di inserimento al lavoro, più stabile e che sia fondato sulla formazione. Dulcis in fundo, chiede un decreto contro le delocalizzazioni e più investimenti sui giovani e le donne.

Il 10 dicembre 2021, anche il comparto scuola è sceso in campo: la protesta organizzata dai sindacati confederali e di base, tranne la CISL Scuola, è ancora contro le politiche del governo su istruzione e ricerca, e si richiedono anche più fondi per il settore, per quanto riguarda il rinnovo contrattuale, nel senso di più stabilizzazione per i precari con tre anni di servizio, di un aumento dello stipendio a tre cifre, più sicurezza per gli edifici e la fine delle “classi pollaio”. Una richiesta interessante è la fine delle “ingerenze legislative in materia contrattuale“.

Sciopero della scuola del 10 dicembre 2021 – Foto dal sito orizzontescuola.it

“Nella legge di Bilancio solo lo 0,62% viene destinato alla professione docente. Si parla di un aumento contrattuale medio di 87 euro. Briciole”, accusano i sindacati confederali, per i quali è urgente anche “azzerare le reggenze, dando dunque un preside ad ogni scuola”. E ancora: “È necessario che si rimetta al centro del dibattito politico la condizione dei lavoratori lasciati alla mercé delle regole del mercato, peraltro drogato dalle iniezioni di denaro pubblico, che poi qualcuno dovrà pagare. E’ in questo contesto che la vertenza scuola si inserisce con le proprie specificità e con quelle più ampie del mondo del lavoro, che si ribella anch’esso”, si legge nel comunicato diramato dalla Cgil.

Il sindacato ANIEF contesta anche l’obbligo vaccinale, che da oggi 15 dicembre 2021 coinvolgerà tutto il personale scolastico. Il Movimento Roosevelt ha messo a disposizione degli insegnanti e di chi ne voglia fare richiesta il sostegno legale gratuito: convinti che non si possa dividere i cittadini italiani in serie A e serie B, che si debba lasciare libertà di scelta e che non ci debba essere nessun obbligo su ciò che riguarda i corpi di ciascuno. Sono stati anche elaborati dei vademecum informativi sui propri diritti, per chi si sentisse insicuro su come comportarsi e ne avesse bisogno.

C’è da dire che considero molte delle richieste, di queste proteste, una spinta per un assetto più progressista della società e che se c’è una cosa in cui sta riusciendo il Governo Draghi e l’impiego dei fondi europei, è quello di far uscire le voci anche di coloro che, negli anni passati sembravano averla persa, appiattiti sulla necessità di “essere responsabili”, non incorrere nelle ire di un Governo o di non dare adito ai mercati finanziari di abbassare il rating del nostro Paese e farlo incorrere comunque in instabilità. La parola d’ordine è sempre stata “assicurare la governance”, da quando siamo entrati nella UE mercatista, anche a costo di tacitare le voci del Parlamento e di quelli che chiedono più giustizia sociale e di ripristinare maggiore uguaglianza e libertà per i cittadini.

E’ forse arrivato il momento di levare quelle voci? E Mario Draghi le ascolterà? O pensa che al Quirinale ci possa arrivare senza avere il consenso di una parte del Paese legata appunto al lavoro e al welfare?

Intanto, vedremo come andrà lo sciopero di domani.



Articolo di Gabriella Toma



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