“Sotto la notizia niente”: ovvero, a che punto è il mestiere del giornalista?

L’11 ottobre 2022, nella sede di Stampa Romana, Piazza della Torretta 86, sede del sindacato regionale dei giornalisti, è stato organizzato un interessante incontro di presentazione dell’ultimo libro di Franco Fracassi, scritto assieme al padre, Claudio Fracassi, firma storica del giornalismo italiano, dal titolo: “Sotto la notizia niente”.

Introduce e conduce l’incontro Monica Soldano, ideatrice dell’iniziativa, che ha un curriculum non solo di giornalista, ma anche di attivista per la giustizia ed i diritti civili, di lungo corso. Alla presentazione partecipano, oltre ai due autori, anche l’ex senatore Pd, Vincenzo Vita, giornalista (Art. 21) e Presidente Aamod ed il professor Domenico Fiormonte (docente di Sociologia della Comunicazione nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Roma Tre); interviene per i saluti Lazzaro Pappagallo (Segretario di Stampa Romana).

Associazione Stampa Romana – Presentazione del libro “Sotto la notizia niente”

Franco Fracassi è molto noto come giornalista di inchieste su argomenti come mafia, servizi segreti e terrorismo. E’ stato anche inviato di guerra, in zone come Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan ed ha realizzato film d’inchiesta, come Zero, sull’11 Settembre. Sicuramente, non qualcuno di allineato a poteri politici o informativi dominanti.

Nel libro scritto a quattro mani col padre, parlano diffusamente delle tecniche di manipolazione delle notizie. Monica Soldano commenta (sul suo profilo FB) come in esso, si riannodano “alcuni fili dei fatti eclatanti passati ormai alla storia attraverso le fotonotizie o una suggestione di massa, ma senza essere mai davvero accaduti; come fu per la presunta strage di Timisoara del 1990, smentita dopo un mese, da un blog francese, ma inutilmente, ormai, era giá passata alla storia”.

Franco Fracassi, giornalista e autore – Ass. Stampa Romana

Diversi, gli episodi raccolti nel libro “Sotto la notizia niente”, che smascherano l’apparato della “newsmanagement”, sempre più potente e pervasivo, grazie all’incastro di interessi, a diversi livelli, interconnessi tra loro. Ed é proprio quando tutti raccontano le stesse cose, allo stesso modo e con i medesimi toni, “che dobbiamo dubitare e chiederci chi abbia costruito tutto questo” e Fracassi (figlio) mette proprio in evidenza che la diffusività delle notizie, negli ultimi anni, è risultata essere la stessa, sia per la pandemia che per la situazione di guerra tra Ucraina e Russia.

Secondo Franco Fracassi, “non è che manchino le notizie, ma bisogna recuperare l’altezza del ruolo sociale e deontologico che ci si assume in una democrazia, come operatori dell’informazione”.
E, aggiunge, “il ruolo del giornalista non può essere un ruolo notarile”.

Vincenzo Vita, che da sempre si occupa della libertà di informazione,nel suo intervento, si è fatto delle domande fondamentali: come viene gestita l’informazione? Come si sceglie la notizia? Che strutture ci sono? Saggiamente, nel suo discorso, ha messo in evidenza che i testi andrebbero approfonditi e questo richiede del tempo che andrebbe impiegato nello studio e nella comprensione di ciò che si legge e nell’elaborazione di un pensiero critico, a riguardo. Invece, oggi, siamo dominati dall’istantaneità dei social e delle centinaia di titoli che compaiono, ad ogni aggiornamento.

Franco Fracassi, Vincenzo Vita e Monica Soldano – Presentazione libro “Sotto la notizia niente”

Anche lui è stato d’accordo nel dire che un modo per distinguere e sapere che “non è vero ciò che appare” si può trovare soprattutto in presenza di articolazioni omogenee, immagini, titoli e commenti molto simili, se non proprio tutti uguali: serve a dare sempre la medesima visione dei fatti. Quello che si vede, attraverso queste articolazioni tutte uguali delle opinioni, è spesso effetto della “gerarchia delle fonti”; cioè, da dove arriva la notizia e come si è deciso di divulgarla, per poi farla arrivare alle varie agenzie.

Nel nostro mondo occidentale – continua – il diritto di cronaca dovrebbe essere sacro: soprattutto in un Paese come l’America, dove vige il Primo Emendamento; tuttavia, proprio in USA, si è fatto uso dell’ Expionage Act del 1917, che subordina tutto alla sicurezza e stabilità del Paese. In questo modo, si è messa in pericolo anche la pratica della tutela delle fonti stesse e dell’obbligo della ricerca della verità.

E qui, rientra a pieno titolo, per gli intervenuti, il modo in cui è stato trattato il caso Wikileaks: caso emblematico di giornalismo riconosciuto in tutto il mondo, che smaschera le scelte poco democratiche dei governi, impersonando quella funzione di “guardiano del Potere”; alla fine, è stato invece trattato come qualcosa di fuori-legge, proprio da quei governi occidentali che si riconoscono nella dicitura di “Democrazie”.

Il caso scoppiò nel periodo di contesa elettorale tra Donald Trump ed Hillary Clinton, tanto che il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, venne accusato di essere filorusso e di fare propaganda pro-Trump. Cosa non vera, dato che lui pubblicò su tutto e tutti. All’inizio, Wikileaks venne persino usato come fonte accreditata da tutte le più importanti testate giornalistiche mondiali, finchè non venne impiegata, appunto, la legge americana contro lo spionaggio. Di questo, è accusato Assange che, nella sua attuale situazione, si trova a Belmarsh, chiamata la “Guantanamo” Inglese e rischia l’estradizione negli Stati Uniti, con ben 175 anni di carcere: praticamente, non rivedrà mai più il mondo esterno.

Julian Assange, giornalista australiano, creatore di Wikileaks – Foto dal sito www.lindro.it

In molti si stanno adoperando, per lui e per la sua salute psicofisica (dato che dalle perizie sono risultati evidenti indizi suicidari): sono state fatte molte manifestazioni, una delle ultime proprio a Roma, al Nuovo Cinema Aquila, a cui anche Vincenzo Vita ha partecipato. La manifestazione “Voci libere per Julian Assange” è stata organizzata grazie al gruppo di Free Assange Italia, che lotta per la liberazione del giornalista australiano, coinvolgendo giornalisti, artisti, personaggi pubblici e tutti coloro che vogliono la libertà di informazione, di stampa e di coloro che vi operano.

Quello di Assange viene raffigurato come un altro caso Dreyfus e, a pagarne le conseguenze, non sarà solo un uomo, la cui vita sta venendo completamente rovinata (e anche quella della sua famiglia), per aver fatto sapere la verità sulla gestione del Potere, alle masse popolari, ma la conoscenza della verità stessa, compito di un serio giornalista.

Proprio in questi giorni, il prestigioso premio Sacharov per la libertà di pensiero, riconoscimento dedicato allo scienziato e dissidente sovietivo Andrej Dmitrievic Sacharov, istituito dal Parlamento Europeo nel 1988, allo scopo di premiare personalità e organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali, a cui si era riusciti a candidare Assange, è stato invece assegnato al popolo ucraino, attualmente in guerra contro la Russia.

Il 20 ottobre 2022, nella sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), a Roma, è stata presentata la campagna internazionale per la liberazione di Julian Assange. Tra gli intervenuti, anche la giornalista Stefania Maurizi che per 13 anni ha lavorato e per altri 7 anni ha combattuto legalmente per ottenere i documenti del processo. Le testate italiane presenti, il Manifesto, il Fatto Quotidiano ed Avvenire si sono impegnate per continuare la campagna “per non spegnere le luci sulla reclusione di Julian Assange” nel cuore dell’ Occidente, a Londra. In molti non hanno intenzione di arrendersi, finchè non verrà liberato.

Dopotutto, c’è sempre stato chi ha sempre voluto il controllo dell’informazione e dal famoso (e famigerato) 11 Settembre 2001, ci si è accorti che c’è stato un vero proprio passaggio di consegne. Non c’è più bisogno di nascondersi, ormai si fa tutto alla luce del giorno.

Appare chiaro che, in questo incontro di presentazione, si abbia perfettamente la contezza della situazione reale, in cui ci troviamo: immersi in un mare di realtà virtuale, che ormai dirige la nostra vita e che è il vero soggetto agente del libro. Come fare contro un tale Potere, che assomiglia ad un Moloch, ci si chiede? Come fare per avere un’informazione democratica e non sottomessa? Il valore di un libro come questo, si conclude, è proprio quello di aprire gli occhi e le menti.

Inchiesta sull’11 settembre 2001 – Foto dal sito www.abitarearoma.it

Franco Fracassi ha raccontato proprio di come si siano incrociati dei percorsi che hanno permesso il primo controllo dell’informazione, per poi arrivare al momento in cui il Potere riesce a prendere, a piene mani, le redini di chi vuole controllare. E, fa notare, ci riesce attraverso regole democratiche e attraverso l’uso di particolari parole che, apparentemente, non hanno un significato preciso, come ad esempio la parola “complottista”, introdotta proprio nel 2001 e che serve, secondo lui, ad agire su un punto essenziale della democrazia stessa: cioè, la libertà di parola.

La parola “complottista“, che prima non aveva significato e, nella sua accezione negativa, indica effettivamente qualcuno di “non affidabile”, dunque da non ascoltare: essendo persona da “non ascoltare”, viene meno il diritto di quella persona di essere ascoltata e, quindi, di poter far riflettere gli altri con le proprie parole. E’ un sottile gioco psicologico. Tutto ciò serviva e serve, ancora oggi, ad eliminare il dissenso.

Molti professionisti, di conseguenza, si guardano bene dallo scrivere scomode verità, per evitare di essere inseriti nell’elenco del “complottista” di turno; e, adesso, con la guerra in Ucraina, anche in quella dei “propagandisti”, pro-quello o pro-quell’altro. E’ divenuto difficile, così, raccontare la realtà, se non impossibile, dato che si deve aderire più possibile a quella già decisa altrove e considerata “corretta”.

Fracassi è stato un inviato di guerra e, in questo incontro, ci ha spiegato come avviene sia la preparazione dei reporter, sia quello che poi accadeva sul territorio in cui vengono scortati, chi incontrano, chi intervistano, cosa vedono. Asserisce che “non si vede mai la guerra”, ma si racconta di qualcuno, che racconta a sua volta la guerra. In questo modo, si rinuncia, praticamente, all’inchiesta.

Monica Soldano e Domenico Fiormonte – Ass. Stampa Romana

Domenico Fiormonte, che si occupa anche di edizione digitale dei testi, geopolitica dei media digitali e digital humanities, ha descritto il libro come “bello e duro” allo stesso tempo, mettendo in evidenza come il problema dell’informazione sia proprio il rapporto con la fonte scelta, che dovrebbe essere affidabile e far parte di una comunità di riferimento (es. scientifica). Considera, a ragione, tutte le rappresentazioni come delle costruzioni sociali, ed il rapporto tra scienza ed informazione, ha sottolineato, oggi, assume necessariamente “connotati dovuti ad interventi politici“.

Dunque, per lui, oggi, più di sempre il Potere decide le fonti.  Quindi, alla fine, quello dell’informazione è un problema metodologico che non può non essere affrontato senza adoperare lo strumento dell’onestà intellettuale. Senza di essa, non è possibile nemmeno la verifica delle fonti, che può apparire più facile e più difficile, allo stesso tempo, a seconda delle vie per cui ci si arriva e cosa si considera per “fonte”. Sembrava fargli eco, Claudio Fracassi, mentre diceva che “la realtà è un processo che investe la struttura dell’universo”.

L’autore dell’incipit del libro, la cui stesura è iniziata nel ’94, ha molto da dire sulla costruzione della realtà, attraverso le notizie manipolate o inventate, addirittura, di sana pianta. Ha raccontato, appunto, di quando il reporter Michele Gambino, assieme a Sergio Stingo, andò in Romania, per documentare, quello che era stato raccontato come il “Massacro di Timisoara”. La notizia era stata data dalla TV ungherese, contraria al regime di Ceaucescu, e raccontava del ritrovamento di fosse comuni, con migliaia di morti e mutilati di guerra. Un genocidio, riportato poi anche da altre tv, attraverso il meccanismo che permette ad una notizia di espandersi a macchia d’olio, ovvero la stretta interconnessione degli organi di stampa di tutto il mondo.

Michele Gambino, invece, trovò direttamente il becchino del cimitero in cui sarebbe avvenuto il ritrovamento, che gli disse che non era mai avvenuto nessun massacro, ma che erano stati rinvenuti  più o meno 30 corpi più quello di una donna, con una bambina, che era stato fatto passare per quello che non era. Le ferite, raccontò il custode del cimitero “dei poveri”, erano dovute ad autopsie ed addirittura l’immagine donna e della bambina non avevano nessuna connessione, né c’era parentela tra le due. Per Claudio Fracassi, persino la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922 non ci sarebbe stata, per lo meno, per come è stata raccontata: cosa che ci ha lasciati allibiti, con la ricorrenza ormai passata da poco.

Monica Soldano, Domenico Fiormonte e Claudio Fracassi – Presentazione del libro “Sotto la notizia niente”

La realtà, dunque, viene creata da chi la racconta. Da noi stessi, quando decidiamo di parlare di qualcosa e anche quando decidiamo di non parlarne, e anche da come queste decisioni impattino, poi, su quello che diviene “pubblico dominio”. Secondo Fracassi (padre), è il grande problema dell’umanità moderna, il fare parte di una coscienza collettiva, che presenta tali aspetti di etica e onestà intellettuale. Qui si è aperto anche il problema delle “fake news” e dei “fact chekers”, pronti alla smentita dei cosiddetti “complottismi” ad ogni angolo, rassicurando la platea che solo la loro informazione è quella giusta da seguire.

Ma è davvero così, quando l’accesso alla conoscenza è così centralizzato, di tipo oligopolistico e, soprattutto, sottoposto ad una sorveglianza che si potrebbe dire “militarizzata” e pronta alla disconferma? Le più grandi multinazionali che si occupano di informazione si contano sulle dita di una mano e sono tutte di proprietà anglo-americana; se si cerca una notizia o una sua smentita, si deve comunque ricorrere alle stesse piattaforme. Come dire: il controllore controlla sé stesso.
Certo, non possiamo dire di essere nella stessa situazione di Paesi in cui si fanno sparire i dissidenti, quando dicono qualcosa che ai loro governi non piace, ma si spera anche che, a questo, non si arrivi mai nel nostro emisfero; e, comunque, il caso Assange non depone a favore della civiltà.

Il lavoro del giornalista è, dunque, diventato estremamente difficile, non solo nella pubblicazione dei contenuti, ma anche nella sua valorizzazione. E’ dal varo del “Pacchetto Treu”, con la Legge N. 196/97,  che si proponeva di disciplinare la flessibilità lavorativa, in particolare coi contratti a tempo determinato, lavoro interinale, job sharing e altre forme contrattuali di lavoro atipico, sino ad allora non previste dal diritto del lavoro in Italia, che si è presentato questo problema. 

Lazzaro Pappagallo, Segretario di Stampa Romana – Foto dal sito www.perunsindacatodeigiornalisti.it

Secondo Lazzaro Pappagallo, quella legge e le successive hanno dato un cambio di immagine al mondo del lavoro, rendendo il precariato la norma, mentre prima era sostanzialmente assorbibile e il lavoro autonomo era una scelta maggioritaria. Si sarebbero ribaltate le piramidi del lavoro, avendo più collaboratori che assunti. I cambiamenti, soprattutto materiali, hanno reso i giornalisti anche meno dignitosamente pagati, per il loro lavoro, e più dipendenti dalle esigenze editoriali.

Monica Soldano si è molto spesa, come sindacalista, per far in modo che il problema arrivasse in tribunale e si arrivasse ad una sentenza di adeguamento dignitoso del compenso del lavoro autonomo. Sentenza che, ancora oggi, non è stata applicata, dalle Istituzioni preposte. Lo scorso 30 giugno 2022,  il Consiglio nazionale della FNSI ha approvato all’unanimità una mozione che impegna l’Esecutivo Fnsi “ad un rapido e deciso intervento affinchè venga intimato al Governo l’adempimento delle norme vigenti sull’Equo compenso per i giornalisti non dipendenti, attraverso l’immediata emanazione da parte del Ministero della Giustizia del decreto con i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi dei giornalisti, previsti dalla L. 27/2012, essendo ad oggi l’unica categoria professionale per la quale questi non sono mai stati emanati, e non risultando applicabili per analogia quelli di altre professioni”(dal profilo Facebook di Monica Soldano). 

Cosa resterebbe dunque da fare? Secondo il Professor Fiormonte, forse, sfidare la modernità, con un metodo scientifico del lavoro e l’uso sapiente delle tecnologie, puntando sulla credibilità, creando una blockchain delle fonti. Soprattutto, continuare con coraggio, senza mai dimenticare la propria onestà intellettuale, da rafforzare tramite la propria deontologia (n.d. autrice dell’articolo).

Forse, ci vorrebbe anche la nascita di una nuova generazione di editori puri, senza considerevoli conflitti d’interessi politici o legati al mondo finanziario, desiderosi di far crescere l’opinione pubblica nella conoscenza della strutturazione del Potere, che domina la realtà, nascondendola alla massa, che rimane ignorante e incosciente di ciò che resta dietro il velo, facendosi persino manipolare da ciò che sembra vero o falso. Ma, per far questo, ci vogliono le giuste condizioni.
Leggere questo libro può essere uno dei passi da compiere.


Articolo di Gabriella Toma

P.S. Si ringrazia Emilio Ciardiello per le foto


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